La fortuna (e la responsabilità) di essere genitore

Scusate il ritardo.

Non vuole essere una giustificazione (per chi e da cosa?) e nemmeno il riporto della citazione del titolo di un film che alla sua uscita, era il 1982, sanzionò il definitivo successo di un grande attore e regista italia: Massimo Troisi.

Non vuole essere una giustificazione (per chi e da cosa?) e nemmeno il riporto della citazione del titolo di un film che alla sua uscita, era il 1982, sanzionò il definitivo successo di un grande attore e regista italiano: Massimo Troisi.

No!

E’ solo un modo ironico per affrontare un argomento sul quale, in questi giorni, abbiamo tutti soprasseduto se non per qualche rara battuta, impegnati come siamo a rimestare zuppe mes(chine) che, in un modo o nell’altro, finiremo per “ingoiare”, indipendentemente da chi sarà il cuoco finale che darà modo, a coloro che nel tempo le hanno a vario modo condite, di chiamarsi fuori, nella migliore tradizione dei Ponzio Pilato nostrani.

Sono stati giorni nei quali ho riflettuto sul prima, il durante e l’adesso e, senza bisogno di tirare le somme, mi posso ritenere soddisfatto e fortunato di poter godere della felicità genitoriale, con tutti i problemi di responsabilità che essa comporta.

Mio figlio ha la vivacità propria dei suoi sette anni ed è un piacere, in questo momento che ci vede temporalmente “più” famiglia che negli altri giorni quando ognuno di noi finisce con l’avere ritmi che non sempre coincidono, sentire la vocina provenire dalla sua stanza mentre, con quella macchina tecnologicamente infernale che è il tablet, dialoga con i suoi amici di brows stars e di altre diavolerie proprie della loro età.

Magari vorrei che dedicasse qualche ora in più, che so io, per avvicinarsi a letture al di fuori di quelle meramente scolastiche; lo penso voltandomi indietro e ricordando com’erano i miei, di tempi, quando anch’io cominciavo a prendere una certa cognizione della vita.

Ma capisco pure che il paragone non regge.

E allora torno a pensare a cosa potrò dargli di buono io, con i miei anni e gli insegnamenti a mia volta ricevuti, e cosa potrà metabolizzare lui, con gli anni suoi, attraverso le parole e l’esempio.

Crescendo, vedo i cambiamenti che arrivano e anche la paura che in me aumenta e diventa terrificante quando sento i miei amici, con figli più grandi, dirmi: “goditelo adesso che è ancora piccolo”.

Oggi i bambini chiedono e le domande non sono più come quelle di una volta, come non possono esserlo le risposte. Ci ossersano e ci giudicano, a volte, con termini che fatichiamo a controbattere. Ed è brutto quando ci accorgiamo, ammettendolo, che hanno ragione.

L’altra sera, guardando il cartoon Il Principe d’Egitto, mio figlio mi ha chiesto: “Papà, perché stanno dipingendo quelle case di rosso?

Gli ho dovuto rispondere, con non poca fatica, facendo ricorso agli insegnamenti religiosi ricevuti.

Guardandomi, ha tratto le sue conclusioni: “Ma non è giusto che degli uomini facciano del male ad altri uomini”.

A distanza di qualche giorno, ho letto che una bambina, all’incirca dell’età di mio figlio, ha chiesto a suo papà: “Perché quel signore in televisione ce l’ha con te, ti attacca e ti insulta?

E il papà: “Lascia stare, è Pasqua, si perdona“, facendo giustamente ricorso a quelli che sono i principi della religione cattolica.

E’ bastata, poi, la “battuta” secca di due comici: “Fra poco non potrai nascondere la verità“, rivolta a “quel” papà, per rimodulare tutto il significato della sua risposta.

Perché, prima o poi, il redde rationem arriverà.

Per tutti.

Anche se tutti i figli, indipendentemente dalle motivazioni, diranno: Era mio padre!

Ma una cosa sarà surrurarlo, un’altra gridarlo.